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Scarpa con margherita Gulino -
Nunzio Gulino nasce a Comiso, Ragusa, nel 1920. Nel 1938 ottiene una borsa di studio e segue il Corso Superiore dell’Istituto di Belle Arti del Libro a Urbino, dove viene a contatto con Leandro Castellani.
Comincia a incidere nel 1939. L’anno dopo si diploma, vince un’altra borsa di studio e frequenta il Magistero di Belle Arti. Nel 1942 è inviato militare a Ceva e a Roma; si abilita professionalmente maestro calcografo. Fa ritorno a Urbino (1943) e quindi a Comiso (1945) poi, per una nuova chiamata alle armi, viene distaccato a Orvieto. Terminata la guerra svolge un costante impegno didattico che affianca a quello, ininterrotto, d’incisore. Viene segnalato da Virgilio Guzzi su “Bolaffi Arte” nel 1969. Nello stesso anno diviene docente all’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Al suo attivo ha centinaia di lastre, molte di esse collegate a edizioni d’arte di testi letterari e poetici, da Leopardi a Pavese, Sciascia, Roversi.
La storia dell’acquaforte del Novecento italiano annovera i maggiori protagonisti in Giorgio Morandi (1890-1964) e Luigi Bartolini (1912-1963). Gulino s’inserisce in un solco storico tracciato e ben preciso: procede dalla visione morandiana e l’interpreta in modo esemplare, volgendo in poetico intimismo le atmosfere silenti, assorte nel fluire dell’esistenza del grande artista bolognese.
Soprattutto, ne assimila e rielabora la magistrale formulazione dell’immagine, visualizzante l’oggetto per reticoli segnici e contrasti luministici dati dal dialogante variare dei solchi inchiostrati, nella loro relazione dialettica con il metallo intonso e pulito a specchio, spesso impalpabilmente velato d’inchiostro, della lastra che, una volta passata al torchio di stampa, restituirà sul foglio i valori sottilmente graduati degli scuri e dei chiari.
Ombra e luce si decantano armoniosamente in calcolate oscillazioni tonali.
Gli sfondi sono intessuti in maniera omogenea, la raffigurazione si palesa per l’intreccio più, o meno fitto, mutevole nella trama (incroci obliqui a losanga, paralleli etc.), differenziato nella profondità e nella larghezza del segno. Viene adottata tutta la gamma dei valori “cromatici” dal grigio perlaceo al nero fumo (nella figurazione monocroma bianco e nero, pur fuori dello spettro, assumono e sostituiscono la funzione e il timbro dei colori), ottenuta per mezzo di morsure multiple, lento processo di scavo dell’acido nella matrice metallica. L’acquaforte è una tecnica che pretende tempi lunghi, pause obbligate, modalità di realizzazione ben definite; richiede un’estrema concentrazione mentale, oltre che operativa.
Si spiega quindi l’isolamento, lo stare appartato, lontano dai clamori di folla dell’autore: evidentemente una necessità intellettuale e un’esigenza pratica.
Scrive Libero De Libero nel 1979 ch’egli “vive alacremente in una solitudine che è pure il mordente della sua arte”: laddove “mordente” è anche l’acido che corrode la lastra e suggerisce un legame tra fattore contingente, impulso artistico e tecnica. L’incisione calcografica ha una dimensione particolare rispetto ad altre tecniche, una componente quasi alchemica di trasformazione sublimante attraverso passaggi lenti, successivi, diretti e indiretti da parte dell’artista che, metodicamente, interviene più volte sulla matrice.
In Gulino la prassi incisoria coincide con il processo creativo e decanta una realtà ispirata in modo quasi esclusivo ai paesaggi umbri, alle nature morte dalle fantasiose associazioni: soggetti ricorrenti eppure mai ripetitivi nelle invenzioni e suscettibili di molteplici suggestioni.